(alcune pagine tratte dal libro di Roberto Beretta)

 

Agguato al prete che aiuta anche i fascisti
DON FRANCESCO VENTURELLI - Fossoli di Carpi (Mo) 15 gennaio 1946

 

Campo n. 73. Nella misconosciuta rete dei campi di concentramento italiani, era questa la sigla del lager di Fossoli  presso Carpi (Mo), aperto a metà del 1942 per ospitare in­glesi catturati in Nordafrica (anche tremila persone, nei momenti di punta) e poi — dopo l’8 settembre e l’occupa­zione nazista, fino al luglio 1944 — per accogliere prigionieri politici e deportati ebrei (in tutto circa 5000 persone) da inviare in Germania.
Don Francesco Venturelli — classe 1888, bel tipo d’uomo, alto, capelli neri a spazzola, pratico ma di poche parole, con vasta esperienza di mondo (era stato cappellano su vari fronti nella Grande Guerra) e di ministero sacerdotale — era arciprete a Fossoli dal 1935 e dunque si ritrovò cappellano anche del campo di concentramento. A lui, uomo scrupoloso e sollecito nella carità, facevano capo la maggioranza delle richieste dei prigionieri nonché quelle dei parenti, che chiedevano notizie dei congiunti.
Un suo chierichetto ricorda quando, durante un Natale di guerra, confidò di aver già dato tutto ciò che possedeva per i deportati del campo e chiese “in prestito”, con tanto di ricevuta firmata, il contenuto dei salvadanai dei bambini. In una relazione del 1945 il prete scrive di aver speso 6.112 lire di soli zoccoli di legno, per provvedere a «tutti quei di­sgraziati che si trovavano privi di tutto, pezzenti, stracciati, colle dita fuori delle scarpe, senza indumenti pesanti».
Naturalmente il sacerdote assiste tutti: prima gli inglesi, poi gli ebrei e i deportati politici (sottoposti a un regime assai più duro, in quanto il campo era passato alla gestione tedesca), i partigiani, infine i fascisti e gli ex collaborazioni­sti. Ma don Venturelli è tutt’altro che fascista.
A Mirandola, dove fa da cappellano tra il 1919 e il 1935, i gerarchi locali lo considerano “indesiderato” e a Fossoli repubblichini e carabinieri lo riprendono più volte per lo smistamento clandestino della corrispondenza tra i reclusi e i loro familiari.
Le difficoltà maggiori per il sacerdote arrivano paradossalmente dopo la guerra, quando il campo funziona (così fino all’estate 1946) come centro di raccolta di profughi stra­nieri in attesa di liberazione o di trasferimento. «Nelle no­stre zone — scrive un opuscolo della diocesi, dedicato ap­punto alla figura di don Venturelli — il potere reale era in mano al Pci, e forse non si va molto lontano dalla verità ipotizzando la presenza di un Commissario politico, sul modello sovietico, che controllava la gestione del Campo in chiave “antifascista”. Don Francesco visitava i prigionieri, che allora erano i fascisti e i compromessi con il passato regime; li ascoltava e li aiutava, così come aveva fatto con tutti gli altri prigionieri; addirittura introdusse nel Campo La lanterna, il foglio “antidemocratico” dei Francescani di San Cataldo: era troppo!
Il Cappellano prima fu “avvisato” con atti ostili, come il taglio delle gomme della bicicletta, critiche sui giornali di partito... Poi fu “fatto fuori”, come si diceva (e si faceva!) in quegli anni.»
Ecco difatti che cosa scriveva In nome della libertà, il foglio dell’Anpi di Modena, solo due giorni prima dell’assassinio del sacerdote: «Ci consta che il prete di Fossoli introduce il giornale La Lanterna nel campo di Fossoli: ora, fino a che agli ospiti repubblichini egli passasse il Vangelo nulla di male, anzi... che quei messeri ne hanno molto bisogno; la Lanterna non ci pare il foglio più indicato data la sua impostazione antidemocratica».
Basta per indicare il mandante morale del delitto, come fece a caldo la Dc di Modena sul suo periodico locale Democrazia: «E l’articolo di quel foglio che ha armato la mano dell’assassino»? La stessa accusa mossero i partigiani del Partito d’Azione, non solo contro il settimanale ma a «tutto l’ufficio stampa e propaganda dell’Anpi da cui tutto il giornale dipende, e che è diretto, caso strano, da uomini tutti del Partito comunista».
Che don Venturelli avesse qualche presentimento lo conferma il ricordo di un ragazzo della parrocchia: un pomeriggio del tardo autunno 1945 il parroco confidò ai bambi­ni del catechismo il desiderio di essere sepolto «vicino alla Madonna, dietro l’abside sotto la nicchia.
Vicino a lei sarò felice! Ricordàtelo. Ditelo agli adulti se mai se ne dimenticassero. Viviamo in tempi molto difficili, ma uniti alla Madonna siamo sicuri della salvezza». Tra l’altro il sacerdote aveva ricevuto una lettera minatoria, firmata “I Partigiani” e molto esplicita: «Se continui a distribuire questo sporco giornale ti facciamo la pelle».
Infatti la sera del 15 gennaio 1946, alle 19, uno sconosciuto chiama alla canonica: c’è stato un incidente mortale sulla provinciale Carpi-Modena, a un chiometro di distanza, e si reclama il prete. Don Francesco indossa il tabarro ed esce con gli olii santi; ma ad appena 20 metri dalla casa lo sconosciuto estrae la pistola e spara a bruciapelo tre colpi, che colpiscono il prete all’occhio sinistro e al torace. Secondo alcuni testimoni, due colpi di fucile echeggiano anche dal campo di concentramento, come un segnale d’intesa. La gente uscita dalle case vicine vede un giovane con un cap­potto grigio che corre verso lo stradone e salta su una macchina che 1o aspetta.
Don Venturelli è già morto. I funerali vengono celebrati due giorni dopo, festa di Sant’Antonio; c’è il vescovo, il coraggioso monsignor Vigilio Dalla Zuanna, ci sono parecchi confratelli, i parenti e un picchetto militare; ma «i parrocchiani si potevano contare sulle dita», secondo la cronaca del quotidiano cattolico di Bologna. Non ci sarà processo, non si troveranno mai gli assassini. Il parroco viene sepolto dietro l’abside, sotto la nicchia della Madonna, proprio come voleva.

Immagine libro di R.Beretta 130 preti uccisi